Expression(s): Le Tante Vite dell’Harmonium
20 Novembre 2019 – 26 Gennaio 2020
Harmonium
Cosa sapete di questo strumento? A che cosa lo associate?
Probabilmente lo avrete intravisto in qualche chiesa di campagna, oppure in un angolo della sagrestia, dov’è stato dimenticato e giace pieno di polvere. Uno strumento minore, dalle vicende insignificanti, poco importante per la Storia della Musica.
Siamo pronti a scommettere che questa mostra vi farà cambiare idea. Cercheremo di raccontare i temi scientifici trattati nel Convegno Internazionale The Harmonium: Music, Musicians, Instruments and their Makers (la musica, i musicisti, i costruttori e i loro strumenti). Vogliamo che questo sia un percorso attraverso le tante storie che un oggetto sonoro può raccontare, se viene seguito nelle diverse fasi della sua esistenza: dal deposito del brevetto in Francia ai viaggi in paesi anche remoti; dalle chiese di campagna ai saloon americani, passando per le feste della buona società mitteleuropea e le sagre di paese.
Nei suoi duecento anni di vita, l’harmonium s’è legato a contesti sociali e geografici fra di essi remoti: dai campi di battaglia della Grande Guerra giù sino all’India con i missionari francescani e i pastori anglicani, per avere poi una seconda vita in Europa con le comunità indiane di migranti. Le sue capacità espressive, per dinamica e colore timbrico, l’hanno reso uno strumento di sperimentazione per raffinati compositori francesi e, allo stesso tempo, un parente serioso ma non troppo di fisarmoniche e armoniche a bocca. Non sorprende, quindi, che l’harmoniun rispunti nelle musiche popolari e del mondo oltre che nel repertorio popular e folk.
L’harmonium è anche una macchina sonora che stupisce per la sua complessità e per la capacità di riprodurre i suoni di un’orchestra sotto le dita di un solo esecutore. Così poteva accadere, intorno al 1890, che un rullo a cinquantotto fori venisse fatto scorrere su un Aeolian Orchestrelle in una sperduta fattoria del South Dakota per il divertimento di tutta la comunità, mentre a New York un concertista saliva sul palco della Carnegie Hall per domare il Manson & Hamlin a tre tastiere e pedaliera, non senza motivo chiamato The Lizst Organ. La presenza di entrambi questi strumenti nella mostra costituisce un collegamento al progetto PlayItAgain per la valorizzazione del nostro autopiano Aeolian e dei rulli.
La vita di un artefatto a volte prosegue indipendentemente dalla funzione e destinazione originarie: diventa feticcio per collezionista, oppure una citazione visiva e sonora nell’immaginario di scrittori e registi, o, ancora, viene rifunzionalizzato in un bizzarro oggetto d’arredo vintage.
La mostra è stata pensata e realizzata come un vero e proprio laboratorio di ricerca e didattica applicata. L’ideazione del percorso espositivo, il suo allestimento, la stesura del catalogo e la comunicazione sono tutti aspetti affrontati all’interno del mio corso per la magistrale di musicologia (conservazione e restauro). Inoltre, con i docenti e allievi del corso di laurea in conservazione e restauro, abbiamo montato un laboratorio per fotografare e preparare gli strumenti all’interno di Palazzo Raimondi: è stata, innanzitutto, un’occasione per conoscersi, potendo più facilmente sbirciare quello che di solito avviene al Fodri, la sede dei laboratori del corso di Restauro. L’intera area museale è stata un cantiere aperto per la realizzazione del percorso di visita, al quale molti colleghi hanno partecipato con testi e materiali.
Allora entrate e giocate con noi: scoprite una storia che parte da un filo d’erba e finisce con un organo Hammond. Noi ci siamo divertiti e speriamo lo facciate anche voi, perché abbiamo scoperto quante cose si possono raccontare partendo da un oggetto. La scelta di questa impostazione ha particolarmente senso all’interno di un dipartimento che riunisce una “potenza di fuoco” transdisciplinare impressionante. Anche la musicologia può passare attraverso oggetti tangibili e i racconti da essi evocati.
Massimiliano Guido